Alla conferenza sul clima di Parigi (COP21) del dicembre 2015, 195 paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima.
L’accordo definisce un piano d’azione globale, volto a evitare cambiamenti climatici pericolosi per l’ecologia del pianeta limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C.
Secondo lo studio di Climate Interactive and the M.I.T. Sloan School of Management, dal 1870 le emissioni industriali di CO2 nell’atmosfera sono state pari a 2100 miliardi di tonnellate, di cui il 20% prodotte dagli Stati Uniti, il 17% dai paesi dell’UE, 20% da altri paesi “sviluppati” (di cui la Cina pesa il 13%) e il 43% da India e paesi in via di sviluppo. Il tetto massimo di emissioni di gas serra per evitare un surriscaldamento oltre i 2°C° è stimato pari a 2900 miliardi di tonnellate e di fatto il mondo ha usato già il 73% di questo budget. Secondo le stime, solo eliminando progressivamente entro il 2100 l’emissione di gas serra sarà possibile rimanere entro il budget “vitale” di 2900 miliardi. Se invece la produzione di gas serra continuasse in base agli attuali ritmi, si arriverebbe alla cifra catastrofica di 8100 miliardi di tonnellate di CO2!
L’attuazione dell’accordo di Parigi rappresenta un obiettivo imprescindibile. Quasi tutti i Paesi del mondo hanno sottoscritto l’accordo, ormai in molti paesi l’energia di origine solare e eolica è più economica di quella di origine fossile e molti Stati hanno adottato misure per eliminare l’uso del petrolio e del gas e per riforestare milioni di ettari. Tuttavia il ritiro degli USA dall’accordo di Parigi e la connessa perdita degli aiuti ai paesi in via di sviluppo, che oggi producono la maggior parte dei gas serra, mettono a grande rischio l’attuazione degli obiettivi di Parigi.
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